mercoledì 17 marzo 2010

Tutto l'ODIO del Partito dell'AMORE

Non è mai stata e mai sarà intenzione di questo modesto blog concentrarsi su una sterile critica antiberlusconiana di tutto quello che succede in Italia.
Il vero “nemico” e bersaglio è il Potere in tutta le sue forme e in tutta la sua protervia. I vari Berlusconi, Bersani, destra e sinistra sono solo la punta dell’iceberg di un sistema politico-economico marcio e da abbattere.
Detto questo non posso tacere su un clima inaccettabile e pesante che si è creato negli ultimi tempi quando si parla di “opposizione”.
Non certo quella inutile del Pd e sguaiata di Di Pietro, ma del sacro santo diritto al dissenso. E’ diventata ormai prassi criminalizzare ogni forma di pensiero critico, soprattutto nei confronti del governo. La cosa è inaccettabile.
Tanto che si è arrivati addirittura a sponsorizzare una ridicola guerra tra “fautori dell’amore” e spargitori di odio”.
“Noi vogliamo che trionfi il Bene sul Male”, era questa la dichiarazione lanciata da Silvio Berlusconi nel 1994. Una contrapposizione frontale controllano”): chi non è con lui,è un “nemico “, “terrorista”, “coglione”, “miserabile”, “illiberale”, “mentecatto”… Seminando odio, il partito dell’amore ha screditato le istituzioni, la magistratura, qualsiasi forma di opposizione.
Il libro “IL PARTITO DELL’AMORE” di MARIO PORTANOVA, pubblicato in questi giorni da Chiarelettere, ricostruisce il clima che sta funestando il paese e ci sbatte in faccia la volgarità, il razzismo, la violenza verbale, il disprezzo che fa da sfondo alla politica del Pdl e della Lega, amplificata dagli organi d’informazione vicini al centro destra: Libero, Il Giornale, La Padania, Tg4, Studio Aperto e il Tg1. Ecco smascherato chi sta buttando via il patrimonio democratico e civile dell’Italia.
Posto due estratti del libro

Dove si annida l’odio
Il senatore padano pensa al forno crematorio per i clandestini. L’avvocato di Forza Italia vorrebbe la morte di un giudice. Il collega deputato godrebbe accompagnandone un altro alla forca. Il capogruppo ex missino dà dello sfigato al giornalista che riprende il comizio. Il ministro della Difesa addita come pedofilo un contestatore. Il ministro dell’Interno immagina medici e presidi delatori per individuare ed espellere gli stranieri senza documenti. Il segretario nazionale della Lega Nord è convinto che i banchieri ebrei complottino per fiaccare l’Europa, inondandola di venti milioni di immigrati. Per il giornale «Libero» quelli di sinistra sono bamba, mediocri, pagliacci, buffoni, papponi. A Radio Padania si dibatte la questione della razza e gli ascoltatori si sfogano contro i transessuali: cessi, aborti umani, immondi, bestie. Il presidente del Consiglio parla di elettori coglioni, giudici matti, cancri da estirpare, bambini bolliti. E di avversari che, se vincessero le elezioni, porterebbero solo miseria, terrore e morte.
È il Partito dell’Amore.
Il 13 dicembre 2009, dopo aver terminato un comizio, Silvio Berlusconi è in mezzo alla folla in piazza Duomo a Milano. Un oggetto lo colpisce in faccia, le telecamere riprendono il suo volto insanguinato. Gli uomini della sicurezza lo caricano in macchina, ma lui scende subito e resta fuori qualche istante. Poi risale e lo portano via. L’oggetto che l’ha ferito è un duomo in miniatura, di quelli che si vendono in piazza come souvenir. I medici dell’ospedale San Raffaele diagnosticano al presidente del Consiglio una ferita lacero-contusa al volto e due denti lesionati.
L’aggressore, fermato e arrestato sul posto, si chiama Massimo Tartaglia, ha quarantadue anni, vive nell’hinterland a Cesano Boscone. È in cura per problemi psichici e la Digos comunica, la sera stessa, di non avere traccia di lui nei suoi archivi. Non è mai stata segnalata la sua appartenenza a gruppi politici di qualsiasi natura, o la sua partecipazione a manifestazioni estremiste, e niente emergerà in seguito.

Il quadro è chiaro: è stato il gesto isolato di una persona psicolabile. Invece no, il centrodestra compatto scatena la macchina delle dichiarazioni per dire che quanto avvenuto in piazza Duomo è frutto del «clima d’odio» creato intorno al premier dall’opposizione e da certi giornali. Pochi minuti dopo l’aggressione, il ministro della Cultura Sandro Bondi detta alle agenzie: «Quello che di aberrante e terribile è accaduto è il frutto di una lunga campagna di odio che è stata scatenata da precisi settori della politica e dell’informazione». La formula è fotocopiata con poche varianti da un fiume di esponenti del centrodestra.

Il cerchio si stringe due giorni dopo, il 15 dicembre, quando la Camera dei deputati discute l’informativa del ministero dell’Interno sui fatti di piazza Duomo. Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Popolo della libertà, individua i«mandanti» con nomi e cognomi: «L’espresso», «la Repubblica», «Il Fatto Quotidiano», i giornalisti Michele Santoro e Marco Travaglio, il leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro, alcuni magistrati. La mano di chi ha aggredito Berlusconi, denuncia Cicchitto, «è stata armata da una spietata campagna di odio, il cui obiettivo è il rovesciamento di un legittimo risultato elettorale».
La campagna – il riferimento è agli scandali sessuali che hanno coinvolto Berlusconi e a nuove accuse di rapporti con la mafia – è orchestrata da «un network composto dal gruppo editoriale Repubblica-Espresso, da quel mattinale delle procure che è “Il Fatto Quotidiano”, da una trasmissione televisiva condotta da Santoro e da un terrorista mediatico di nome Travaglio».

Gli altri nodi della rete sono «alcuni pubblici ministeri» impegnati in processi su mafia e politica, che «vanno nei più vari talk show televisivi a demonizzare Berlusconi» e «l’Italia dei valori, il cui leader Di Pietro sta in questi giorni evocando la violenza».
Ecco dove si annida l’Odio. Ma dove sta l’Amore? Lo rivela Berlusconi, ancora in ospedale, quello stesso giorno: «State tutti sereni e sicuri, perché l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio». Il 26 dicembre tornerà sul punto: «Sempre una volta di più dico che l’amore vince su tutto, non solo sull’odio che rende violente contro l’avversario politico le menti più fragili. Al contrario di ciò che noi facciamo, perché noi rispettiamo l’avversario politico».

Così prende forma la favola del Partito dell’Amore. Dell’esercito del Bene contrapposto all’esercito del Male. «Sono in politica perché il Bene prevalga sul Male» aveva già proclamato il Cavaliere anni prima, benché la circostanza non rendesse giustizia alla solennità dell’annuncio (Berlusconi era in collegamento telefonico con la manifestazione forzista «Neve Azzurra» di Roccaraso in provincia dell’Aquila, il 16 gennaio 2005). La favola è raccontata ogni sera in televisione, prima che il popolo vada a letto, ed è ampiamente creduta.

È davvero così? Chi sono, che cosa fanno, che cosa dicono i principali esponenti del Partito dell’Amore? Che cosa scrivono i loro giornali, che cosa dicono le loro televisioni e le loro radio? Potete farvene un’idea dalle pagine di questo libro. I campioni dell’Amore approvano leggi che sono definite «razziali», oppure ad personam. Portano in Parlamento chi ha acquisito meriti speciali, come un’inchiesta penale o la radiazione dall’albo professionale. Vietano la costruzione di luoghi di culto a centinaia di migliaia di musulmani regolarmente residenti in Italia, e protestano quando il loro affollamento in posti inadeguati crea disagi.
Invocano vagoni piombati, linciaggi, castrazioni, rastrellamenti, schedature, espulsioni, «tutti fuori dalle balle». Se però a finire nei guai è uno del Partito dell’Amore, sono garantisti «fino al giudizio di Cassazione».
Minacciano con leggerezza pallottole, rivolte del popolo in armi, secessioni, ma accusano di eversione chi applica la Costituzione. Credono di essere vittime di complotti interni o mondiali, dicono che ci vorrebbe una nuova battaglia di Lepanto.

Se la prendono con «i culattoni», insomma «i finocchi». Berlusconi e i suoi avatar combattono una guerra mediatica quotidiana contro i bersagli del momento, e intanto si lagnano di essere «demonizzati», secondo la tipica tecnica dei «comunisti».
Teorizzano un’inedita concezione di democrazia, secondo la quale chi ha la maggioranza dei voti può dire e fare tutto ciò che gli passa per la testa.











L’odio paga
Il «clima d’odio» in Italia c’è davvero. Anche contro Berlusconi, ma non solo contro Berlusconi. «Odio» magari è troppo, diciamo astio, risentimento diffuso. Di questo clima, però, il principale responsabile è proprio lui. Non favorisce la concordia definire coglioni gli elettori avversi, sottrarsi sistematicamente alle leggi, dominare sfacciatamente il sistema televisivo, imbarcare gli alleati più imbarazzanti, praticare una costante autoincensazione, circondarsi di un’adulazione grottesca e di collaboratori con curriculum penali sconcertanti.
Non rasserena gli animi vedere la sistematica promozione ad alti incarichi governativi e istituzionali di personaggi noti soltanto per la loro piatta adesione a qualunque necessità del Capo (senza voler scendere in altre malignità vociferate ma non documentabili).

Di Berlusconi non si contano le battutacce, le gaffe, gli insulti, spesso strategicamente piazzati nelle campagne elettorali difficili, per afferrare la pancia dell’elettorato più umorale e trascinarlo alle urne. I suoi lo seguono in blocco, senza se e senza ma. Si aggiungono le cosiddette «sparate» degli alleati leghisti, sempre difese e minimizzate. Sono cose che si dicono «nella foga dei comizi», sono tecniche per conquistare «spazio sui giornali», oppure «solo provocazioni»... Dicono che bisogna tirare cannonate ai barconi dei migranti, ma tanto poi mica lo fanno, dunque che problema c’è?

Il problema è che dopo sedici anni di berlusconismo assistiamo in Italia a un continuo aumento di pestaggi razzisti, a roghi e rivolte contro «zingari» e «negri», ad avvisaglie di pogrom sempre giustificate, se non appoggiate o guidate, dagli esponenti dell’«esercito del Bene». Per scovare i «clandestini» casa per casa si organizzano operazioni di polizia locale denominate «White Christmas», come è accaduto nel 2009 a Coccaglio, in provincia di Brescia.
Ai comizi di Berlusconi capita di incontrare signore impellicciate che non usano toni tanto diversi da quelli dei vituperati centri sociali, cambiano solo i bersagli: i «comunisti», i «giudici rossi», i sindacati «che hanno rovinato l’Italia», i giornalisti «faziosi», gli «extracomunitari che rubano e stuprano»... Sottobraccio hanno «Libero», magari con un titolo di prima pagina tipo «Prodi giustiziato. Il sogno s’è avverato».

Dove stanno nell’Italia del 2010 i cattivi maestri, i «Toni Negri bis», come disse di Bossi nel 1996 l’allora dirigente di Alleanza nazionale Gianni Alemanno?
Giorno dopo giorno, la goccia degli slogan ha scavato la pietra dell’opinione pubblica. Mentre si continuano a evocare i fantasmi di un comunismo sepolto dalla storia, il fascismo è stato sdoganato da tempo, per il nazismo si stanno sbrigando le ultime formalità. «Io sono del parere che se toccano un mio familiare applico la legge delle SS, uno a dieci» ha detto al Consiglio comunale di Treviso il leghista Giorgio Bettio il 4 dicembre 2007, perché sua madre aveva avuto un diverbio condominiale con un vicino di casa straniero.
Ed è solo un esempio. Su internet intanto spuntano siti sulla supremazia bianca in versione italiana. Le «menti fragili» esistono, da una parte e dall’altra.

L’odio paga. Il Cavaliere, più volte dato per finito, è sempre risorto grazie a campagne elettorali urlate e all’incapacità del centrosinistra di presentare una visione alternativa convincente.
«Libero» è un quotidiano di successo, lo stile del direttore Vittorio Feltri sfonda in edicola. I leghisti famosi per le loro sparate non sono affatto personaggi folcloristici. Calderoli è ministro ed è stato vicepresidente del Senato, oltre a essere un uomo chiave del partito. Borghezio, Boso, Gentilini, Salvini ottengono migliaia di preferenze personali e alle feste di partito raccolgono ovazioni da star. Umberto Bossi è segretario della Lega da più di venticinque anni ed è il perno della maggioranza che governa questo paese.

Così il racconto del Partito dell’Amore si trasforma in un viaggio alla scoperta delle radici dell’odio

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