venerdì 26 febbraio 2010

APPELLO contro la DITTATURA BANCARIA e TECNOFINANZIARIA


Dal sito di MOVIMENTO ZERO pubblico qui l'appello per aderire contro la dittura bancaria firmato da Massimo Fini,Marco Francesco De Marco,Valerio Lo Monaco, Alessio Mannino e Andrea Marcon.


No alla vita basata sul prestito e sull’usura
No al debito eterno degli Stati, dei Popoli e dei Cittadini
Il Popolo (attraverso lo Stato) torni titolare della Sovranità Monetaria


La questione della Sovranità Monetaria non è questione economica. Riguarda tutti gli aspetti della nostra vita. La Banca Centrale Europea, proprietà delle Banche Nazionali Europee, come Bankitalia, emette le banconote di Euro. Per questa stampa pretende un controvalore al 100% del valore nominale della banconota (100 euro per la banconota da 100 Euro), appropriandosi del poter d’acquisto del denaro che crea a costo zero e senza garantirlo minimamente.
E’ un’incredibile regalia truffaldina ai danni della popolazione intera. Gli Stati pagano questa cifra con titoli di Stato, quindi indebitandosi. Su questo debito inestinguibile, pagheranno (pagheremo) gli interessi passivi per sempre. Con le tasse dei cittadini, o vendendo a privati beni primari, come le fonti d’acqua. Per contenere il debito pubblico, che è generato soprattutto dal costo dell’emissione del danaro che lo Stato paga alla BCE, ogni governo è costretto ad aumentare una pressione contributiva diretta ed indiretta sempre più alta nel tempo, che per alcuni soggetti, i più deboli, corrisponde ad un prelievo forzoso di oltre il 60% del proprio guadagno.
Questo enorme profitto è incamerato ingiustamente, illegittimamente ed anticostituzionalmente dalla BCE, ovvero dai suoi soci, le Banche Nazionali, a loro volta controllate da soggetti privati. Queste Banche sono di proprietà privata, e, soprattutto, di gestione privata, anche se ingannevolmente vengono fatte passare per “pubbliche”. Gli utili che traggono dalla emissione monetaria vengono occultati attraverso bilanci ingannevoli, in cui si fa un’arbitraria compensazione dei guadagni da Signoraggio con inesistenti uscite patrimoniali. Dopo 60 anni di Signoraggio (il guadagno sull’emissione) esercitato da Bankitalia e BCE, l’Italia ha un enorme debito pubblico generato esclusivamente dai costi per l’emissione del danaro pagati alle Banche Centrali.

Se l’emissione del danaro fosse stata affidata allo Stato, senza creare debito, oggi non avremmo un solo euro di debito pubblico e le tasse da reddito potrebbero non esistere od incidere minimamente sui redditi da lavoro. Tutti i costi sociali (pubblico impiego, opere, scuole, ospedali) si sarebbero potuti coprire con i proventi da IVA (imposta sul valore aggiunto) magari maggiorata al 30% per i prodotti di lusso e non popolari, e da tasse su transazioni soggette a pubblica registrazione.

Senza usura contro lo Stato da parte delle Banche Centrali, che ha costretto lo Stato a vessare i propri cittadini con tasse spropositate (ricordate il prelievo sul conto corrente voluto dal banchiere Ciampi, travestito da uomo politico?), non bisognerebbe lavorare 30 anni per comprare una piccola casa, pagando tassi da usura. Non esisterebbe il degrado sociale, la povertà, il precariato, la delinquenza come mezzo di sopravvivenza di massa. Senza il Signoraggio delle Banche Centrali gli Stati non avrebbero più debiti e non sarebbero più costretti a tassare e tartassare i propri cittadini, a sottoporli a forme di controllo poliziesco per la determinazione dei redditi. I guadagni da lavoro dipendente ed autonomo sarebbero tutti legittimi, provati e dichiarabili senza timore, senza evasione, senza elusione, e l’unica tassa da riscuotere sarebbe quella sull’acquisto di beni e servizi, favorendo quelli per la sussistenza con aliquote più basse ed alzando le aliquote per i prodotti voluttuari e di lusso.

Ritornando la sovranità monetaria nelle mani degli Stati sovrani si eliminerebbe il debito degli stessi e di conseguenza di larga parte della popolazione. L’esistenza di noi tutti, condizionata e vincolata fin dalla nascita dal principio usurocratico del debito sarebbe sollevata dall’angoscia da rata, da scoperto di conto corrente, da pignoramento, da sfratto, da banca dati della puntualità dei pagamenti. Le nostre vite sarebbero liberate dall’assillo dal lavoro, del doppio lavoro, del bisogno di guadagnare tanto, per poi pagare il 60% del proprio guadagno allo Stato, perché lo Stato è sotto l’usura dei Banchieri.

Merita trattazione a parte l’analisi delle influenze sulla nostra vita dell’assillo economico. Influenze negative di carattere psichico, culturale, sociale. Con i drammi della povertà, dell’emigrazione, del doppio lavoro familiare, del lavoro precario, del lavoro insicuro, delle pensioni minime, che, senza la voracità da usura delle Banche Centrali, si sarebbero potuti evitare. Sottoponiamo l’appello a deputati, senatori, giornalisti, intellettuali, contestatori, anticonformisti, per promuovere la proposta di legge che faccia tornare l’emissione monetaria in mano statale, ovvero politica e popolare. Diffondiamo la verità negata: viviamo in una dittatura bancaria che impone a tutti l’angoscia esistenziale della vita basata sui debiti.

Azzeriamo il debito degli Stati
Eliminiamo la schiavitù degli indebitati per sopravvivere
Riprendiamoci la nostra vita e la nostra libertà

FONTE: Movimento Zero

Ma cosa ci facciamo ancora in Afghanistan?



Ormai la maggior delle notizie che ci giungono dall'inferno bellico dell'Afghanistan sono un bollettino quasi settimanale di attentati e bombe. L'ultimo di questi giorni ha visto come vittima un italiano,Pietro Antonio Colazzo,il numero due dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, in Afghanistan, in queste settimane di fatto il capo dei nostri servizi segreti nel Paese, perché il responsabile non è a Kabul.Con Colazzo salgono a 22 le vittime italiane in Afghanistan.Ogni volta che muore un nostro concittadino, ma non solo, bisognerebbe domandarsi quali sono le serie e reali motivazioni che ci "costringono" a continuare quella che sta diventando sempre meno una 'missione di pace'. Nel rispondere a questa domanda mi sono fatto aiutare da uno dei tanti articoli di MASSIMO FINI che ha scritto su questo tema. Leggete e meditiamo.
"Impossibile ormai portare democrazia in afghanistan.Si resta per l'unità della NATO"
Gli americani manderanno altri 30mila soldati in Afghanistan. Agli alleati europei ne sono stati richiesti 5.000. L’Italia, "usa a servir tacendo",ne ha promessi 500. Già queste cifre, che vanno sommate agli 80mila uomini attualmente in Afghanistan, dicono che c’è qualcosa che non quadra. Che ci sia bisogno di un esercito di 120-130 mila soldati, armati con i mezzi più sofisticati, per battere quello che dovrebbe essere un manipolo di terroristi non è credibile. E infatti in Afghanistan noi non stiamo facendo la guerra alla mitica Al Quaeda (che secondo il pm Armando Spataro, che da anni si occupa di terrorismo internazionale, non esiste più come organizzazione), stiamo facendo la guerra agli afgani. Nè vi stiamo portando la democrazia, obiettivo cui ormai abbiamo rinunciato da tempo, perché la struttura sociale di quel Paese organizzato in clan tribali secondo divisioni etniche, non permette l’esistenza di una democrazia come la si intende in Occidente. Che la lotta al terrorismo e il "sogno" di esportare la democrazia non siano più gli obiettivi della presenza occidentale in Afghanistan lo ammette anche uno dei commentatori più filo americano, Franco Venturini in un articolo del Corriere. Perché restiamo in Afghanistan lo spiega lo stesso Venturini: gli Stati Uniti, dopo aver commesso l’errore di entrare in quel Paese, non possono uscirne senza aver almeno dato, l’impressione di aver ottenuto qualche risultato, pena "perdere la faccia", i loro alleati non possono perdere il prestigio che riverbera su di loro dell’essere impegnati col Paese più potente del mondo.E così per ragioni di "faccia" e di "prestigio" continuiamo ad ammazzare, a migliaia, e decine di migliaia, uomini, donne, vecchi e bambini, ogni giorno (le notizie sulle morti in Afghanistan vengono pubblicate dai nostri giornali solo quando è coinvolto qualche italiano. Gente che vive a 5000 chilometri di distanza, che non ci ha fatto nulla di male e che mai che ne farebbe se non pretendessimo di stargli sulla testa. Per la verità una ragione seria, anche se sottaciuta, per restare in Afghanistan almeno gli americani che l’hanno. Perché se la Nato perde in Afghanistan si sfalda. Ma quello che è peggio per gli americani sarebbe sicuramente un grave danno, non è detto che non sia invece un vantaggio per europei. La Nato è stata, ed è infatti, lo strumento con cui gli americani tengono da più di mezzo secolo l’Europa in uno stato di sudditanza, militare, politica, economica e alla fine, anche culturale. Forse è venuta l’ora, per l’Europa, di liberarsi dell’ingombrante "amico americano". E l’Afghanistan potrebbe essere l’occasione buona.
Questa la questione afgana vista con i nostri occhi. Ma cerchiamo di vederla anche, per una volta, con quelli afgani. L’occupazione occidentale è stata molto più devastante di quella sovietica. Perché i russi si limitarono ad occupare quel Paese ma non pretesero di cambiarne le strutture sociali, istituzionali, di "conquistare i cuori e le menti" degli afgani. Noi invece, con la tremenda e sanguinaria presunzione delle "buone intenzioni", abbiamo preteso di portarvi la "civiltà". La nostra. Distruggendo quella altrui. Ha detto Ashraf Ghani, il più occidentalizzante dei candidati alle recenti elezioni: "Nel 2001 eravamo poveri, ma avevamo la nostra moralità. I miliardi di dollari che hanno inondato il Paese ci hanno tolto l’integrità, la fiducia l’uno nell’altro". In realtà la sola cosa che siamo riusciti a esportare in Afghanistan è il nostro marciume morale. FONTE: Il GAZZETTINO del 27/11/2009.

martedì 23 febbraio 2010

Sull'IRAN Italia "appecorata"


Riporto un articolo di Massimo Fini pubblicato su 'Il Fatto' utile per non cadere in semplicistiche considerazioni a proposito dell'IRAN.

Sulla questione del nucleare iraniano è Teheran ad avere ragione e la cosiddetta "comunità internazionale" (in realtà sono gli Stati Uniti e Israele a trascinare tutti gli altri) torto. L'Iran ha firmato, a differenza, per esempio, di Israele, che la Bomba ce l'ha (basta attraversare il deserto del Neghev per vedere la sua centrale atomica), ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare. Cosa può e deve chiedergli la "comunità internazionale"?

Di accettare le ispezioni dell'Aiea, l'agenzia Onu per il controllo del nucleare. Cosa che l'Iran ha sempre fatto. Quando, un paio di anni fa, riaprì i suoi siti nucleari fu alla presenza degli ispettori Onu. C'è un via vai continuo fra Vienna, dove ha sede l'Aiea, e Teheran di questi ispettori che c'erano anche tre giorni fa quando gli iraniani hanno inaugurato l'impianto di Natanz.
L'arricchimento dell'uranio è il passaggio necessario per ottenere il nucleare civile ad usi energetici ma anche medici. Per questi usi è sufficiente un arricchimento al 20%, per l'atomica bisogna arrivare al 90%.
Gli ispettori Aiea hanno accertato che, finora, gli iraniani non hanno superato il limite del 20%. E allora? Gli americani sospettano, senza lo straccio di una prova, che vi siano dei siti segreti sfuggiti agli ispettori.



Ma con questa storia del sospetto allora tutti possono essere messi sotto scacco, è una specie di prolungamento della teoria della "guerra preventiva" di George W. Bush. Noi italiani stiamo riaprendo i nostri siti nucleari (se sia giusto o sbagliato non è argomento da affrontare qui) ed è come se una potenza ostile ci intimasse di non farlo perché da lì, in teoria, potremmo arrivare all'atomica.
Gli americani obiettano anche che l'Iran ha il petrolio e quindi non ha bisogno del nucleare.
A parte il fatto che uno Stato avrà ben il diritto di diversificare le sue fonti di energia senza dover chiedere il permesso agli americani, la BP ha calcolato che entro il 2049 il petrolio sarà esaurito. Gli iraniani considerano quindi il nucleare civile un loro diritto indiscutibile e su questo non sono disposti a trattare. Sarebbe già una gran concessione, perché lede la loro sovranità, che accettassero di far arricchire il loro uranio in Russia o in Turchia (bei soggettini anche questi, rispettosi dei "diritti umani").


Dice: Ahmadinejad ha affermato che Israele deve «scomparire dalle mappe geografiche». Affermazioni gravi e inaccettabili, ma sono pur sempre parole. Non sono invece parole i missili atomici israeliani puntati su Teheran e i piani di attacco, anche nucleare, all'Iran di Stati Uniti e Israele svelati dalla stampa americana. E, devo dire, fa una certa impressione vedere Paesi seduti su enormi arsenali atomici (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna) far la voce grossa, e indignarsi, con uno che la Bomba non ce l'ha.
C'è molta prevenzione e "disinformatia" nei confronti dell'Iran. Qualche mese fa gli iraniani misero in orbita un satellite per le comunicazioni, un normalissimo satellite come abbiamo anche noi. Subito la "comunità internazionale" gridò all' "allarme" e alla "provocazione". Idem quando testarono dei missili, missili che abbiamo anche noi. Anche la repressione dell'opposizione, almeno quella dell'11 febbraio, dove, secondo i siti antiregime, la polizia ha sparato in aria, usato spray al peperoncino, catene, manganelli, proiettili di gomma e operato decine di arresti, non mi sembra poi tanto diversa da quanto fece il governo Berlusconi al G8 di Genova.



Infine l'Italia è il primo partner commerciale europeo dell'Iran (retrocesso al secondo posto dopo le imprudenti affermazioni di Berlusconi alla Knesset, perché a nessun premier fa piacere essere paragonato a Hitler, nemmeno a Berlusconi). Certo, non si possono barattare principi contro quattrini. Ma finché l'Iran resta dentro le regole internazionali, ha l'ambasciatore a Roma come noi a Teheran, non è il caso che ci appecoroniamo "in toto" agli interessi degli Stati Uniti. O nemmeno noi abbiamo il diritto di tutelare i nostri interessi nazionali?

Massimo Fini
www.ilribelle.com

sabato 20 febbraio 2010

Un popolo senza nazione: i Mapuche e il Regno di Araucanìa e Patagonia

Nell'anno 1860, in Sudamerica, due neonati stati nazionali, Cile ed Argentina, e un popolo senza nazione, gli indios Mapuche, furono i protagonisti di una vicenda assai singolare.
Cile ed Argentina, usciti dalla dominazione spagnola, dimostrarono di aver presto dimenticato gli ideali che li guidarono alla conquista dell'agognata libertà: si fecero immediatamente affliggere dal vizio europeo di conquista, di eliminazione di etnie per accaparrarsi le loro terre.


Tra i due neonati precoci, avidi di terra e di denaro, un popolo senza appoggi, i Mapuche.
Essi riunirono le loro tribù per proclamare uno stato indipendente, interamente mapuche. Dotati di un'apertura mentale senza paragoni, optarono per un governo monarchico sotto la guida di un europeo, con la finalità di possedere maggior voce nelle dispute internazionali grazie alla guida di un uomo del Vecchio Continente.
Elessero così un avventuriero francese, Orélie-Antoine de Tounens, di professione avvocato, come re della nazione mapuche. Il nuovo sovrano promulgò la costituzione nello stesso 1860 e stabilì i confini del nuovo regno ai danni del Cile e dell’Argentina.

Nel 1862 il re Orélie-Antoine si diresse in Cile per rendere pubblica ed ufficiale la formazione del Regno di Araucanìa e Patagonia, ma fu catturato ed internato in un manicomio dal presidente cileno Manuel Montt. La Francia si impegnò per liberare il suo cittadino che dovette tornare nella madrepatria.

Nel 1869 Orélie tornò tra i Mapuche, ma ormai il Cile aveva incorporato il loro territorio. Tentò più volte di fare passi avanti con la causa mapuche (nel 1874 e nel 1876), ma il sogno di autodeterminazione degli indios era stato infranto definitivamente. Il re Orélie-Antoine morì in Francia nel 1874. I suoi successori, ancora oggi, si impegnano nella difesa dei diritti dei Mapuche.

Il popolo Mapuche vive seguendo norme di convivenza collettiva e mediante un intimo rapporto con la natura. Attualmente i Mapuche sono in lotta, tanto con la repressione dei governi locali quanto con le multinazionali (es. Benetton) che intendono sfrattarli dalle loro terre, per la non cancellazione della loro storia e dei loro principi culturali.

L'esilio della Real Casa non ha messo a tacere la volontà di autodeterminazione di un popolo, tuttavia scoraggiato dagli eventi e dalla comprensione di non poter mai essere una nazione indipendente...

Nucleare, falsa soluzione



Greenpeace ha sempre combattuto contro l’energia nucleare perché pone rischi inaccettabili sia per l’ambiente che per la salute.

Il nucleare copre poco più del 2 per cento dei consumi globali di energia nel mondo, meno dell’idroelettrico. Raddoppiare la potenza nucleare oggi installata, oltre a aumentare i rischi di incidenti, le scorie e i pericoli di proliferazione di armi nucleari, avrebbe un effetto molto limitato sulle emissioni globali, dell’ordine del 5%. E implicherebbe l’apertura di un nuovo reattore ogni due settimane da oggi al 2030.

A circa 60 anni dalla nascita della tecnologia nucleare civile non esiste una tecnologia nucleare intrinsecamente sicura; la gestione a lungo termine delle scorie nucleari non è stata risolta da nessun paese e non c’è una tecnologia che non possa essere utilizzata anche per produrre materiali per le bombe atomiche. E, infine, le riserve di Uranio estraibili a costi calcolabili, ai livelli attuali di consumo basteranno solo per 70-80 anni. Nemmeno dal punto di vista economico il nucleare ha funzionato: i costi di generazione elettrica da nuovi impianti nucleari sono superiori a quelli delle altre fonti convenzionali e dell’eolico. E, proprio per i rischi anche finanziari di questa tecnologia, nei mercati liberalizzati l’industria nucleare è in crisi e cerca fondi pubblici, sia come incentivi che come fondi a tasso agevolato, come la presidenza Bush aveva introdotto negli USA.

E’ una tecnologia in declino e la proposta del governo italiano di ritornare al nucleare è un nonsenso economico e industriale, che serve solo a piccole ma potenti lobby.

Per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e combattere il riscaldamento globale bisogna puntare sulle alternative più sicure ed efficaci: fonti rinnovabili ed efficienza energetica. Investire sul nucleare invece introduce altri rischi e assorbe molte risorse che vanno invece utilizzate per le fonti davvero pulite.

FONTE: sito di GREENPEACE

Nucleare: ecco cosa ci aspetta


Il più grande incidente nucleare della storia: 26 aprile 1986, durante un esperimento, gli operatori della centrale sovietica di Chernobyl persero il controllo del reattore che esplose emettendo una quantità gigantesca di radioattività che nei giorni immediatamente successivi al disastro contaminò mezza Europa, generando deformità e sofferenze di cui si hanno testimonianze dirette nelle lande bielorusse.
In Italia lo spavento fu tale che con un referendum fu vietata la costruzione di nuove centrali sul suolo patrio. Passata la paura, sembra che oggi la lobby nucleare stia rialzando la testa. Il ministro Scajola, spalleggiato dalla neopresidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ha lanciato la parola d'ordine: nucleare a oltranza.
La Edison, il 13 marzo 2008, ha pubblicizzato un proprio studio che prevede la costruzione di 5-10 centrali nucleari entro il 2019, facendo circolare una mappa di 10 siti ritenuti adatti ad ospitarle. La A2A milanese-bresciana ha comunicato di aver affidato a cinque università milanesi uno studio che suggerisca al governo modi e tempi per il ritorno dell'Italia al nucleare.
Mentre i media italiani affilano le armi per un prossimo dibattito tutto orientato al sì (per la crescita e la modernizzazione, of course), ecco che dalla Germania giunge nel più completo silenzio un altro studio, dell'Università di Meinz,, pubblicato lo scorso dicembre sullo European Journal of Cancer, che dimostra che i bambini che vivono in un raggio di 5 km da un impianto nucleare corrono un rischio più elevato di contrarre precoci e gravissime forme di cancro. I ricercatori di Meinz si sono concentrati, in particolare, sull'area attigua alla centrale nucleare di Krummel, dove è stato rilevato un eccezionale incremento delle leucemie, tanto infantili, quanto degli adulti. Una ricerca applicata anche a tutte le altre 16 centrali atomiche tedesche ha dato i medesimi risultati (incidenza di leucemia: 37 casi su 16 attesi).
Di fronte a questi risultati è confermato ancora una volta che anche le basse dosi di radiazioni che fuoriescono dagli impianti nucleari durante il loro normale funzionamento sono comunque percolose e nocive. Mentre sono incontestati i danni alla salute umana provocati da un incidente in una centrale nucleare, il normale esercizio di un impianto è considerarato innocuo. Un altro mito da sfatare, aspettando che anche in Italia venga aperto un dossier sulle conseguenze delle "basse dosi di radiazioni". Si profila una nuova battaglia anti-nucleare. Non facciamoci trovare impreparati.


Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Movimento Zero Cremona e sul sito della Casa Editrice Arianna.

venerdì 19 febbraio 2010

BATTESIMI FORZATI



Un tassello cruciale per comprendere i rapporti tra la Chiesa Cattolica e gli ebrei nel corso della storia è senza dubbio lo studio del fenomeno dei “battesimi forzati” di ebrei per tutta l’età moderna, dal Cinquecento all’Ottocento. Un fenomeno finora poco conosciuto e studiato.

Marina Caffiero, docente di storia moderna all’Università di Roma “La Sapienza”, ha ricostruito questo fenomeno nella sua complessa fisionomia, facendone un’ampia e minuziosa trattazione nel volume "BATTESIMI FORZATI. STORIE DI EBREI, CRISTIANI E CONVERTITI NELLA ROMA DEI PAPI" (Viella 2004). Il testo analizza la problematica con particolare riguardo alla città di Roma, fondandosi su una ricchissima documentazione del tutto inedita, tratta in gran parte dall’archivio del Sant’Uffizio, recentemente aperto alla consultazione.

I cosiddetti ‘battesimi forzati’ sono tutti quegli episodi di amministrazione del sacramento, caratterizzati dal non essere frutto di libera scelta da parte del battezzando, ma dall'essere dei veri e propri espedienti costrittivi e ricattatori, messi in atto dalle autorità ecclesiastiche nell’ambito della politica conversionistica della Controriforma. I più utilizzati erano tre: battesimi clandestini di bambini senza l’assenso dei genitori; l’offerta che i neofiti facevano alla Chiesa di parenti che in nessun caso avevano intenzione di convertirsi; la denuncia, sempre ad opera di neofiti, di ebrei che avrebbero mostrato l’intenzione di convertirsi ma che non avevano poi dato seguito alla cosa.

Particolarmente rilevante, e carica di conseguenze per il futuro, fu la minuta decretazione emanata nel Settecento da papa Benedetto XIV. Egli introdusse un nuovo criterio, quello del favor fidei, aprendo le porte ad una caccia indiscriminata e senza posa, soprattutto di donne e bambini.

Il favor fidei, non solo scavalcava la tradizione che, in particolare con S. Tommaso, vietava il battesimo invitis parentibus, ma soprattutto lo faceva con un atto di ascrizione al giudizio insindacabile della Chiesa di ogni decisione in merito. In sostanza si dichiarava prevalente su ogni altra autorità o fonte di diritto il criterio del vantaggio per la "vera" religione di accogliere ogni nuova conversione, anche ottenuta in maniera forzata, quando non in modo coercitivo. Con una simile tesi, la casistica sarebbe divenuta sempre più sterminata, e ogni pretesto, anche il più insensato o illegale, utile per procacciarsi nuove anime. Il tutto accompagnato dallo strascico di dolorose vicende umane: famiglie distrutte, figli perduti, comunità scardinate dalla paura, dal sospetto e dal desiderio di vendetta. Gli atti coercitivi non furono niente affatto episodici: se ne contano 1197 a Roma dal 1614 al 1797. Esempi: bimbi di tre anni a cui viene attribuita l’età della ragione; neofiti che offrono alla Chiesa la ragazza ebrea di cui sono innamorati; sorelle offerte dai fratelli; nonne che offrono nipoti (viva la madre ebrea); bimbi offerti dalla prozia o dal cugino del padre; e via via, fino all’offerta del feto nonostante la contrarietà della madre. Particolarmente drammatica fu la vicenda di Ercole ed Ester de Servis, i cui figli, non appena concepiti, furono offerti alla fede cattolica dal nonno paterno: persi in questo modo cinque figli e in attesa del sesto, i coniugi fuggirono da Roma inseguiti dalla polizia papalina.

E' da sottolineare però il fatto che sia i rabbini che i singoli individui utilizzarono con grande tenacia tutti i mezzi giuridici e politici a loro disposizione per contrastare queste pratiche oppressive e conservare la propria identità religiosa e sociale. L’ambientazione ricorrente nella maggior parte dei casi è data dalla Casa dei Catecumeni di Roma, mantenuta a spese degli stessi ebrei, dove venivano portati (spesso con la forza) i potenziali convertiti per essere istruiti nella dottrina cattolica, e da cui ben pochi fortunati ebbero la possibilità di far ritorno al Ghetto.
Il libro della Caffiero ha anche il merito di confutare il vecchio stereotipo secondo il quale, nella vicenda dei rapporti con gli ebrei, il mondo cattolico sarebbe stato caratterizzato da due diversi atteggiamenti, rispecchianti due “anime”: una popolare, persecutrice e intollerante; l’altra invece, identificata con il papa e le gerarchie ecclesiastiche, tollerante e benevola. Un testo infine che contribuisce a comprendere le radici storiche dell’antisemitismo politico otto-novecentesco e solleva questioni cruciali per la storia europea, quali quelle relative ai problemi politici e ideologici innescati dalla convivenza tra religioni diverse o al ruolo svolto dalle autorità e dai tribunali ecclesiastici.