mercoledì 26 maggio 2010

MENO INQUINAMENTO? MENO CONSUMO!

I soliti paladini dello Sviluppo, quelli più inginocchiati davanti al Dio Mercato, continuano a ripeterci che è possibile una crescita economica compatibile con la salvaguardia dell'ambiente, riassunta nel termine ossimorico e fallace della "Sviluppo Sostenibile".
Per inquinare di meno, non bastano le cosiddette "energie alternative",ma attuare una piccola'rivoluzione': consumare e produrre di meno, e quindi mettere in discussione l'attuale modello di sviluppo. Solo così salviamo questo disastrato pianeta e noi stessi
.

A tal proposito un illuminante articolo di MASSIMO FINI uscito su "Il gazzettino" il 14/05/2010: "Contro l’inquinamento l’unica vera soluzione è ridurre i consumi"


Si discuteva l’altra sera a "Porta a porta", con la partecipazione di scienziati, di tecnici, politici e varia umanità, di inquinamento, "effetto serra", buco dell’ozono, polveri sottili, cambiamento del clima. A parte un tale che sosteneva che l’inquinamento per mano umana non esiste (sarebbe colpa delle scorregge delle mucche che emettono gas metano) il dibattito si è focalizzato sul solito scontro fra nuclearisti e fattori delle fonti di energia "pulite", eolica e solare.
Non esistono fonti di energia "pulita" perché tutte, usate massivamente, producono inquinamento, di un tipo o dell’altro.

Anni fa in una regione fra Olanda e Belgio, vastissima pianura battuta dal vento, vennero costruite trecento enormi torri eoliche. Che cosa c’è di più pulito del vento? Gli abitanti della zona ne uscirono quasi pazzi. Erano abituati ad avere davanti a sè uno spazio a perdita d’occhio e ora il loro sguardo era interrotto da quelle torri. E le pale eoliche facevano un rumore infernale giorno e notte.

È curioso non venga mai in mente a nessuno che l’unico modo per arginare l’inquinamento è ridurre i consumi e quindi la produzione e quindi la necessità di fonti di energia sempre più invasiva. Questo è il tabù dei tabù, perché incepperebbe il meccanico "produci, consuma, crepa" su cui si basa il nostro modello di sviluppo che inquina non solo l’ambiente, ma la nostra vita provocando stress, angoscia, nevrosi, depressione, suicidi, raptus omicidi.

Questo meccanismo non deve essere messo in discussione. Ce lo dice anche il modo con cui i governi stanno affrontando l’attuale crisi economica.
Il solito modo, usato con la crisi messicana del ’96, quella delle "piccole tigri" nel ’97, quella dei "subprime" americani del 2007: immettendo nel sistema altro denaro inesistente per drogare il cavallo già dopato perché faccia ancora qualche passo. Nonostante tutti sappiano che un sistema che si basa sulla crescita continua, che esiste in matematica ma non in natura, quando non avrà più la possibilità di espandersi imploderà fatalmente su se stesso. E ci siamo molto vicini.

Con l’enorme quantità di denaro che, nelle sue varie forme, è in circolazione, abbiamo ipotecato il futuro fino a epoche così sideralmente lontane da renderlo inesistente. Quando ci sarà il collasso e il denaro sparirà, la gente delle città, rendendosi conto che non può mangiare l’asfalto, si dirigerà verso le campagne e si assisterà a lotte feroci e sanguinose per il possesso di un po’ di terra, di un campo di patate, di una mucca per quanto scorreggiante. Tatanga Jota, alias Toro Seduto, ci aveva avvertiti alla fine dell’Ottocento: "Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche", ma possiamo dar retta a un pellerossa, a un "primitivo" noi che possediamo una scienza che va a ravanare nel genoma pretendendo di scoprire l’origine della vita, talmente colmi della nostra "ubris" da non ascoltare non dico

Toro Seduto ma nemmeno Eraclito che nel VI secolo a.C. dice: "Tu non troverai i confini dell’anima, per quanto vada innanzi, tanto profonda è la sua ragione"?
La crescita non è un bene in sè. Anche il tumore è una crescita. di cellule impazzite. L’uomo moderno, in preda al proprio delirio di onnipotenza, è impazzito. E lascerà presto il campo a bestie un po’ più intelligenti.

Massimo Fini

giovedì 13 maggio 2010

QUEL DENARO CREATO DAL NULLA

Posto un illuminante articolo di MASSIMO FINI pubblicato su "Il Fatto Quotidiano"(12 maggio) nel quale espone la propria visione sulla recente crisi greca. Un ulteriore segnale dell'ormai insostenibilità del nostro modello di sviluppo capitalistico industrial-finanziario. Di questo passo saranno scaricate sulle nuove generazioni tutte le storture economiche e sociali di questo sistema, ipotecandone seriamente il futuro.
Nelle poche righe di questo articolo una summa del Fini-pensiero.

"Atene, la Grecia e il denaro fantasma"
Che cosa sono i 110 miliardi che verranno dati alla Grecia per salvarla (80 dai governi dell’Eurozona, 30 dal Fmi) e i 750 approntati dall’Unione europea per creare un maxifondo "anticrisi"? Nel mondo globalizzato tutti i Paesi europei sono indebitati fra di loro e con gli altri Paesi industrializzati che a loro volta sono indebitati con noi. I miliardi dati alla Grecia e quelli del maxifondo "per battere la speculazione" sono una partita di giro.
Si tratta di denaro inesistente, "tossico" non meno dei titoli “tossici”, che serve per drogare ulteriormente il cavallo già dopato perché faccia ancora qualche passo prima di schiattare definitivamente. È da 15 anni che i Paesi industrializzati, di fronte alle crisi che si susseguono a ritmi sempre più incalzanti, si comportano in questo modo: immettendo nel sistema altro denaro inesistente.

Nel 1996 il Messico era sull’orlo della bancarotta: doveva 50 miliardi di dollari ai Paesi industrializzati. Cosa fecero questi? Gli prestarono altri 50 miliardi perché potesse restituire i primi 50. Un’operazione apparentemente assurda, che serviva però a tenere il Messico al gancio del mondo industrializzato che poteva così continuare a vendere ai messicani i propri prodotti. Più o meno alla stessa maniera, con qualche variante, ci si comportò per la crisi delle "piccole tigri" asiatiche nel 1997.

Così si è fatto per il collasso dei subprime americani nell’estate 2007, default che si è poi propagato in Europa e di cui l’attuale crisi è un’ulteriore conseguenza (che cosa sono gli sbalorditivi tre trilioni di dollari comparsi improvvisamente nelle mani del governo di Washington? O ce li avevano prima e allora non si capisce perché non li abbiano usati o è denaro puramente virtuale).
Si tende da parte dei governi e degli economisti al loro servizio a dare la colpa di queste crisi alla "speculazione" e agli "eccessi" del capitalismo finanziario.
È uno scarico di responsabilità, nient’affatto innocente, per eludere il nocciolo duro e vero della questione: è l’intero nostro modello di sviluppo ad essere "tossico". Il capitalismo finanziario non è che la diretta e inevitabile conseguenza, oltre che, in qualche modo, la necessaria precondizione, di quello industriale. Ne seguono le stesse logiche: il profitto, la sua massimizzazione col minimo sforzo e, soprattutto, l’inesausta scommessa sul futuro.
Un futuro ipotecato fino ad epoche così sideralmente lontane da essere inesistente. Come il denaro che lo rappresenta (con un millesimo del denaro circolante attualmente, nelle sue varie forme, si comprano tutti i beni e i servizi del mondo. Il resto cos’è?).

Prendersela col capitalismo finanziario, sottacendo di quello industriale, è come meravigliarsi che avendo inventato la pallottola si sia arrivati al missile.
Noi ci stiamo comportando come un individuo che avendo un debito, per coprirlo, ne fa uno più grosso e poi un altro più grande ancora e così via.
A livello individuale il giochetto dura poco. Per un modello che si pone come planetario le cose vanno più per le lunghe. Ma un sistema che si basa sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica, non in natura, quando non avrà più possibilità di espandersi imploderà fatalmente su se stesso.
E ci siamo vicini. Lo dice anche il fatto che, essendo i nostri ormai abbondantemente saturi, siamo alla ricerca disperata di altri mercati, anche se poveri, anche se poverissimi e siamo disposti a bombardare senza pietà i popoli, come quello afghano, che non ci stanno a entrare nel nostro meccanismo.

Il paradosso di questo modello di sviluppo è che avendo puntato tutto sul cavallo dell’economia, marginalizzando ogni altro valore ed esigenza umana, sta fallendo proprio sul piano dell’economia. Spero che ciò apra gli occhi alla gente e la induca, presto, domani, subito, a impiccare al più alto pennone gli idioti e gli impostori che stanno segando il ramo dell’albero su cui siamo seduti.
Ma ci credo poco. Se fossi su un altro albero riderei a crepapelle guardandoli mentre fanno karakiri. Ma sono sullo stesso ramo e mi tocca seguire, impotente, come molti altri miei consimili, la sorte che queste canaglie imbecilli ci stan preparando.

Massimo Fini

lunedì 10 maggio 2010

A proposito dell'ECOSOFIA


L’ECOLOGIA PROFONDA (o Ecosofia) è un movimento filosofico e di pensiero, una visione del mondo a sfondo panteista che richiede un profondo rispetto per tutti gli esseri senzienti (e quindi anche per gli ecosistemi) e per tutte le relazioni che li collegano fra loro e al mondo cosiddetto “inanimato”. Non assegna alla nostra specie un valore distaccato e particolare, ma la considera completamente parte della Natura. Vede la Terra come l’Organismo cui apparteniamo. Il fondatore del movimento in Occidente è stato il filosofo norvegese Arne Naess, che usò il termine per la prima volta in un articolo del 1972 (The shallow and the deep).


Sono caratteristiche dell’Ecologia Profonda:
- una visione sistemica del mondo, una filosofia non-dualista, il riconoscimento della sacralità della Terra e del diritto ad una vita degna per ogni essere senziente;

- la necessità di non spezzettare l’universale, di considerare l’aspetto sistemico-globale e di evitare di cadere nei dualismi tipo mente-materia, Dio-mondo, uomo-natura e simili;

- l’idea che l’intero è più della somma delle sue parti. In una visione olistica si pone l’accento più sulle relazioni che sui singoli componenti.

L’ecologia è il sentimento profondo che ci dice che tutto è collegato, che non possiamo danneggiare una parte senza danneggiare il tutto, che facciamo parte di un unico Organismo (l’Ecosistema, o la Terra) insieme a tutti gli altri esseri viventi-senzienti: il primo valore è il benessere dell’Ecosistema, da cui consegue anche quello dei componenti, e quindi il nostro.

Invece l’ecologia come è intesa dal pensiero generale, detta anche ecologia di superficie, resta completamente antropocentrica e quindi non modifica il sottofondo di pensiero della cultura occidentale: richiede soltanto di diminuire il più possibile gli inquinamenti e salvare alcune aree intatte per il beneficio dell’uomo. Considera la Terra come la casa dell’uomo: in sostanza, tutto può andare avanti come prima, con qualche accorgimento tecnico e qualche depuratore.

Invece le prospettive proposte dall’Ecologia Profonda sono un completo mutamento di paradigma, che porti:

- al sentire consapevolmente la rete che collega qualunque essere o evento;

- all’estinzione del desiderio per i beni materiali;

- all’amore compassionevole verso tutti gli esseri senzienti.
Per far questo è necessario:

- diffondere le basi del nuovo paradigma e mettere in discussione tante idee considerate “evidenti” solo perché respirate fin dalla nascita (competizione, successo, desiderio continuo dei beni materiali, posizione della nostra specie come staccata dalla Natura);

- parlare spesso con grande considerazione e rispetto degli altri esseri senzienti e della sacralità della Terra;
- evidenziare che l’idea fissa dello sviluppo non è “propria della natura umana”, ma è nata in una cultura in un determinato momento della sua storia.

Le idee dell’Ecologia Profonda sono il presupposto filosofico per comprendere il senso di quelle modifiche del pensiero generale che sono in grado di portare, sul piano pratico, prima a una decrescita economica e poi a una situazione stazionaria, quindi a salvare la Terra dai gravissimi pericoli che sta correndo attualmente

L’ecologia profonda – come filosofia di vita – non è nata negli anni Settanta dalle idee di Arne Naess o da qualche movimento di minoranza di oggi.
Da tremila anni in India, e da tempi ancora più lunghi in tante culture animiste, idee ben diverse da quelle che hanno poi foggiato la civiltà occidentale avevano avuto modo di diffondersi nella mente collettiva, come dimostrano questi pensieri, tratti da antichi testi indiani: “Ogni anima va rispettata e per anima si intende ogni ordine, ogni vitalità che la sostanza possa assumere: il vento è un’anima che si imprime nell’aria, il fiume un’anima che prende l’acqua, la fiaccola un’anima nel fuoco, tutto questo non si deve turbare”.
In uno dei sutra si loda chi non reca male al vento perché mostra di conoscere il dolore delle cose viventi e si aggiunge che far danno alla terra è come colpire e mutilare un vivente.

Ancora dall’India:
I fiumi, o caro, scorrono gli orientali verso oriente, gli occidentali verso occidente. Venuti dall’Oceano celeste, essi nell’Oceano tornano e diventano una cosa sola con l’Oceano. Come là giunti non si rammentano di essere questo o quest’altro fiume, proprio così, o caro, i viventi, che sono usciti dall’Essere, non sanno di provenire dall’Essere. Qualunque cosa siano qui sulla Terra - uomo, tigre, leone, lupo, cinghiale, verme, farfalla - essi continuano la loro esistenza come Tat. Qualunque sia questa essenza sottile, tutto l’Universo è costituito di essa, essa è la vera realtà, essa è l’Atman. Essa sei tu, o Svetaketu.
(Chandogya Upanishad, 10° khanda)

L’ecologia profonda è stata definita solo recentemente nell’ambito della cultura occidentale, ma in realtà la sua concezione del mondo era ben nota a tante culture animiste, soprattutto quelle native del continente americano, e in molti aspetti delle culture orientali più diffuse.
Per rendersene conto, basta riportare alcune citazioni di testi o insegnamenti provenienti da alcune di queste culture.
Quindi si tratta di riscoperte o perlomeno di prese di coscienza già presenti in molte parti dell’umanità da decine di migliaia di anni. In tante culture native non c’è quel distacco “metafisico” fra uomo e Natura proprio dell’occidente.
Quindi la percezione delle visioni del mondo delle culture native costituisce un valido aiuto per comprendere e fare proprie le visioni e gli atteggiamenti dell’ecologia profonda. I legami sono stretti ed evidenti.

Dai nativi del Nord-America:
Una persona non dovrebbe mai lasciare tracce così profonde che il vento non le possa cancellare. (insegnamento dell’etnìa Piedineri)
Sai che gli alberi parlano? Sì, parlano l’uno con l’altro e parlano a te, se li stai ad ascoltare. Ma gli uomini bianchi non ascoltano. Non hanno mai pensato che valga la pena di ascoltare noi indiani, e temo che non ascolteranno nemmeno le altre voci della Natura. Io stesso ho imparato molto dagli alberi: talvolta qualcosa sul tempo, talvolta qualcosa sugli animali, talvolta qualcosa sul Grande Spirito.
Tatanga Mani (da: Recheis-Bydlinski, Sai che gli alberi parlano? Il Punto d’Incontro, 1994)

E’ la storia di tutta la vita che è santa e buona da raccontare e di noi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell’aria e tutte le cose verdi: perché sono tutti figli di una stessa madre e il loro padre è un unico Spirito. Forse che il cielo non è un padre e la Terra una madre e non sono tutti gli esseri viventi con piedi, con ali e con radici i loro figli?(Alce Nero, dal libro Alce Nero parla di John Neihardt, Bompiani, 1982).


P:S: per onestà il testo è tratto dal sito di TERRANAUTA e i due dipinti sono opera del maestro Orlando Sanpietri.

domenica 9 maggio 2010

'MANGANELLI' di STATO


Dal sito SPINOZA un pò di "humor"....

Roma, ragazzo pestato da numerosi agenti di polizia. Era una delle prove del concorso.

Dopo Roma-Inter, Stefano Gugliotta è stato malmenato perché scambiato per un ultrà. Doveste imbattervi in dei poliziotti, vi conviene specificare subito cosa non siete.

(Io comunque li capisco: ne picchiano talmente tanti che un errore ci puo’ stare)

Durante il pestaggio, qualcuno dai palazzi urlava: “Siete in venti contro uno!”. Immediato l’arrivo dei rinforzi.

Il sofisticato identikit del tifoso ricercato indicava “Uno con la maglietta rossa”. Paperoga già si caga addosso.

Dopo il pestaggio, Gugliotta si è salvato grazie alla tempestiva assenza dei medici.

Un dente rotto, sei punti in testa e segni di numerose manganellate per uno scambio di persona. Pensate se era quello giusto.

Gugliotta è stato scarcerato, ma resta in piedi l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Cucchi ne uscì pulito

"Io urlavo ma loro continuavano a picchare". Sono le parole di Stefano Gugliotta, il 25enne aggredito e malmenato dalla polizia perché scambiato per un ultrà, a Roma dopo la finale di Coppa Italia Roma-Inter. Preso a schiaffi prima da un poliziotto, poi da 2, poi da una decina che, dopo averlo accerchiato e gonfiato di botte, lo arrestano.

Violenza gratuita, senza aver la possibilità di una replica, da parte di chi E' PAGATO PER PROTEGGERCI E NON PER PICCHIARCI.

Sembra un film già visto e rivisto.

Troppo spesso succede che alcuni esponenti delle forze dell'ordine abusino del loro potere, scavalcando il confine di ciò che è permesso da ciò che non lo è.

Il caso Spaccarotella, quello della scuola Diaz durante il G8 di Genova, il caso di Stefano Cucchi, tanto per ricordare gli eccessi più famosi. Morti e feriti, per un abuso di potere che in alcuni casi non viene perseguito e punito come dovrebbe.



Di fronte a questa ennesima violenza di Stato sono stanco della solita retorica di eroi che rischiano la vita per pochi euro. Non si acquisisce lo status di eroe per il semplice fatto che s'indossa una divisa. Sono le azioni che ti rendono eroe (o criminale), e non il distintivo; anche se la divisa, un pò come il mantello di super man, ti fa sentire onnipotente, intoccabile. Stefano Gugliotta, pestato senza motivo è solo l'ultima di una lunga serie di vittime della polizia.
Vittime della polizia, quel corpo che viene pagato per "garantire democrazia, giustizia e libertà".

La "rigorosa" inchiesta disposta dal capo della poliza Manganelli (ma tu guarda il cognome!) si rivelerà il solito compromesso nel deprecare le responsabilità individuali degli agenti, lasciandoli al loro posto e le sentite scuse per questi “settori deviati” della polizia.

Chi non ricorda la sospensione della democrazia, o meglio l'umiliazione della democrazia nel luglio 2001 durante il G8 di Genova? Come non ricordare l'omertà diffusa tra le forze dell'ordine, inerente a quei fatti. Ricordo la medaglia data a Placanica per aver ucciso un ragazzo. Non dimentico, neanche il global forum di Napoli nel marzo del 2001 con la trappola tesa ai manifestanti a piazza Municipio, e le torture alla caserma Raniero ed i ragazzi prelevati a forza dagli ospedali, compreso due ragazzini che avevano avuto un incidente col motorino.
Cose del genere hanno un nome ben preciso, si chiamano rastrellamenti.
Per esempio il centro sinistra farebbe bene, a non fingere di fare la parte degli indignati, perchè nel marzo 2001 erano loro al governo, seppur ancora per poco.
É stato il centro sinistra a non creare una commissione parlamentare d'inchiesta sui fatti di Genova. E sarebbe altrettanto squallido strumentalizzare questi episodi di cronaca, perchè quando lorsignori potevano fare qualcosa, non lo hanno fatto per paura di perdere consensi.

Un gesto di coraggio ci vorrebbe… Pretendo, anzi ‘vorrei’ che siano previste le aggravanti per i reati commessi dalla poliza; pretendo che il poliziotto che si macchia di qualsiasi reato, fosse anche uno schiaffo dato senza motivo, venga radiato dal corpo. Pretendo che i poliziotti siano chiaramente identificabili sempre, in particolar modo quando sono in assetto antisommossa, voglio che indossino pettorine con numeri identificativi scritti in grande e voglio che questi numeri siano presenti anche sui caschi. Basta con la favola del poliziotto per vocazione, se si entra in polizia o nei carabinieri, è per lo stipendio, per il posto fisso. Non ci sono altri motivi. Senso dello Stato e delle istituzioni, protezione dei cittadini? Ma per favore.

venerdì 7 maggio 2010

Un Paese senz'ANIMA

"Sono convinto che quando gli storici valuteranno l’attuale Italia democratica la considereranno la peggiore della sua pur lunga storia."

Sono parole tratte dal nuovo libro di MASSIMO FINI(Senz’anima, Chiarelettere pagg. 472, euro 15), uno zibaldone di articoli degli ultimi trent’anni (1980-2010).
Una vera e propria storia d’Italia, vista dalla particolarissima prospettiva di Fini. Senz’anima è il nostro Paese, in preda agli aspetti deleteri della modernità.

Un ritratto impietoso,tracciato dalla penna più politicamente scorretta del giornalismo italiano, che mostra un paese privo di principi, di valori condivisi che non siano il Dio Quattrino, inguaribilmente volgare, senza dignità e onore, spietato senza essere virile, femmineo ma non femminile, corrotto, intimamente mafioso, devastato nel suo straordinario paesaggio, naturale, urbano, artistico, che lo ingentiliva insieme alla sua gente.
Una parodia di democrazia sequestrata dai partiti e dai suoi mediocri esponenti che la violentano, la abusano, la stuprano a comodo loro.

L’Italia, negli ultimi trent’anni, è diventata ricca ma ha perso l’anima, sacrificata al mito del progresso e del benessere.
Abbiamo consumato tutto il consumabile, inclusa la nostra umanità.
Ora resta la «disperazione di vivere in una società senza grandezza», preda di «una mediocrità quotidiana fatta di pin, cin, di iban, di carte di credito, di bancomat, in cui domina la figura dell’imprenditore, cioè del mercante, che in tutte le culture e in tutti i tempi, prima dell’avvento della Modernità e della Democrazia, era posto all’ultimo gradino della scala sociale».

In politica, il periodo tra il 1980 e il 2010 è interpretato come una rivoluzione mancata (sull’onda di Mani pulite e dell’ascesa delle prime Leghe) seguita da una restaurazione avvenuta, protagonista della quale è Berlusconi.
La cornice del volume è chiara. A monte, il «nuovo mondo» di Milano Due.
A valle, il successo incontrastabile di re Silvio.
Le vicende di Tangentopoli e dintorni sono centrali, in tutti i sensi.

Ma non bisogna credere che l’antiberlusconismo di Fini affondi le radici nel puro giustizialismo di Travaglio e soci, suoi attuali compagni di strada al Fatto quotidiano.
Infatti Berlusconi è l’emblema, il massimo esponente, la compiuta realizzazione di quel mondo liberale e democratico che Fini condanna come specchietto per le allodole (le allodole, inutile dirlo, saremmo noi cittadini).
Un mondo fondato su oligarchie autoreferenziali anche note come partiti.
Un mondo alienante perché ci costringe a inseguire oggetti che non desideriamo e valori puramente quantitativi che non possono dare la felicità.