sabato 27 marzo 2010

PASOLINI: il GENOCIDIO delle LUCCIOLE

Il 1°febbraio 1975 Pasolini pubblica sul Corriere della Sera il controverso articolo “IL VUOTO del potere in Italia”(noto come “l’articolo delle lucciole”).
Mi aiuterà nell’analisi di questo scritto il saggio “Modernizzazione senza sviluppo. Il capitalismo secondo Pasolini” di GiULIO SAPELLI, economista e docente alla Statale di Milano (nonché mio ex professore).

L’articolo esprime innanzitutto una feroce critica alla modernizzazione capitalistica come genocidio dei valori particolaristici.

Pasolini guarda alla conservazione delle tradizioni allo stesso modo in cui un rivoluzionario continua a desiderare il cambiamento sociale.
La rivendicazione dell’integrità delle culture locali, soprattutto di quelle sottoproletarie, viene vista non tanto come elemento di contrasto o di contraddizione rispetto al capitalismo, ma come un fattore di resistenza alla pervasività dell’economia di mercato in tutti i rapporti sociali.

Pasolini è un sostanzialmente un conservatore che vede la civiltà contadina come la più idonea alla conservazione dell’uomo nella sua integrità e che però si rende conto che essa non può essere eterna, in quanto viene distrutta e trasformata dall’industrializzazione.

Ciò che lo colpisce maggiormente è la rapidità con cui si produce questo cambiamento: in 20 anni l’Italia compie un percorso storico che in altri paesi europei si era compiuto in due secoli, e da ciò discende la sua preoccupazione che alla crescita economica non corrisponda un pari sviluppo della crescita intellettuale e culturale delle popolazioni investite dalla trasformazione.

Il boom economico degli anni ’60 e la repentina industrializzazione hanno coinciso con l’emergere della società del consumo.
In particolare la ricchezza non è vissuta come bene pubblico, ma come consumo individuale.
E il genocidio sta proprio nell’assimilazione al modo e alla qualità di vita della borghesia da parte di quelle classi e sub-culture che fino a quel momento ne erano estranee.
Insomma un gigantesco edonismo interclassista che cancella tradizioni e valori millenari, come quelli della civiltà contadina.
I tanti valori particolari sono stati brutalmente soppiantati da un unico valore: il consumo.


La distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale niente meno che al giornale "Il Politecnico", cioè all'immediato dopoguerra..." Così comincia un intervento di Franco Fortini sul fascismo ("L'Europeo, 26-12-1974): intervento che, come si dice, io sottoscrivo tutto, e pienamente.
Non posso però sottoscrivere il tendenzioso esordio. Infatti la distinzione tra "fascismi" fatta sul "Politecnico" non è né pertinente né attuale.
Essa poteva valere ancora fino a circa una decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura e semplice continuazione del regime fascista.
Ma una decina di anni fa, è successo "qualcosa". "Qualcosa" che non c'era e non era prevedibile non solo ai tempi del "Politecnico", ma nemmeno un anno prima che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva).
Il confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque "cronologicamente", tra il fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel "qualcosa" che è successo una decina di anni fa.

Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa.
Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio).
Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole.
Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole".


A far scomparire le lucciole è il regime politico.
Infatti sono sempre la società e la politica a determinare i grandi mutamenti economici, poiché l’economia non si spiega mai di per se stessa in quanto non è autoreferenziale.


Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili.
La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi.
Osserviamole una alla volta
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Prima della scomparsa delle lucciole
La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta.
Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari appunto nel "Politecnico": la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione.
E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva.
La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale.
Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano.
Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo
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Repressivo da punto di vista psichico, non politico, perché imponeva la morale cattolica ufficiale, la religione e non la fede.

In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la moralità.
Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale.
Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano.
Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle "élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani (…)

Questi valori assumevano tutt’altro significato quando erano ancora elementi prepolitici e prepartitici ( la fede religiosa, l’amore della famiglia), ma diventando valori di Stato perdono il proprio legame vitale con le persone che vi fanno riferimento per orientarsi all’azione. Quando la fede diventa valore di Stato si muta in religione, diventa instrumentum regni
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Durante la scomparsa delle lucciole
In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul "Politecnico" poteva anche funzionare.
Infatti sia il grande paese che si stava formando dentro il paese - cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI - sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che "le lucciole stavano scomparendo".
Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell'analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche.
Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l'immediato futuro; né identificare quello che allora si chiamava "benessere" con lo "sviluppo" che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il "genocidio" di cui nel "Manifesto" parlava Marx.


Questo genocidio storicamente progressivo è quello delle culture particolari. I valori tradizionali erano reali fintanto che appartenevano ai mondi vitali delle vecchie culture contadine e non facevano ancora parte della sfera dell’ideologia.

Dopo la scomparsa delle lucciole
Le lucciole rappresentano un mondo di valori, di mores nel senso antropologico di miti, credenze, costumi, mondi vitali.

I "valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più.
E non servono neanche più in quanto falsi.
Essi sopravvivono nel clerico-fascismo emarginato (anche il MSI in sostanza li ripudia).
A sostituirli sono i "valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra" rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale.
Questa esperienza è stata fatta già da altri Stati.
Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta della prima "unificazione" reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale.
Il trauma italiano del contatto tra l'"arcaicità" pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler.

Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell'industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste.

In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industrializzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa.
Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche
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A suo giudizio, la violenza con cui le masse contadine sono state proiettate nella società dei consumi ha fatto sì che esse perdessero tutti i loro valori originari e non ne assumessero altri che quelli del consumismo.

Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale.
Basta soltanto uscire per strada per capirlo.
Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla.
Io, purtroppo, questa gente italiana, l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari.
Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere.
Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiani, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza
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Mussolini poteva far sentire i suoi discorsi alla radio, ma non forniva alle masse alcuna condizione per spingerle a dare un consenso al regime, dato che non poteva garantire lo sviluppo economico. Le masse manifestavano una sorta di accettazione pragmatica dell’esistente, ad aderire al fascismo erano piuttosto gli strati deboli ed evanescenti delle classi medie promosse proprio dal regime: l’alta e media burocrazia dello Stato.
C’era dunque una dissociazione delle coscienze: nessuno credeva davvero ai miti del fascismo, a parte i piccoli borghesi.
E’ quanto è avvenuto anche in Unione Sovietica: una volta crollato il regime del terrore, la popolazione non sostiene più la dittatura.


Nell’Italia del secondo dopoguerra ha vinto la democrazia, non tanto per le riforme istituzionali, ma perché ha portato all’enorme aumento del livello di vita: è stata questa la grande rivoluzione.

(…)I "modelli" fascisti non erano che maschere, da mettere e levare.
Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima.
Lo si è visto anche in Portogallo: dopo quarant'anni di fascismo, il popolo portoghese ha celebrato il primo maggio come se l'ultimo lo avesse celebrato l'anno prima.(…)
Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri.
È vero: essi continuano a sfoderare radiosi sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce di buon umore.
Quando non si tratti dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia.
Cosa che agli elettori piace, pare, quanto la piena felicità.

Inoltre, i nostri potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili; in cui galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse stereotipe.
In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto.


Queste parole profetiche sono le stesse che scriverà Moro dalla prigione delle BR, quando sosterrà che la DC è diventata un mucchio di cenere, un partito unito dall’interesse, neppure più dalla fede, ma dall’apparentamento con la religione: si sono abbandonati i vecchi valori, senza proporne di nuovi.
Sempre secondo Moro la DC ha spalancato un pauroso vuoto di potere, perché non ha saputo più essere classe dirigente, ma solo classe dominante
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La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere.
Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé.
Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono giunti gli uomini di potere?".
La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono passati dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza accorgersene.


In altre parole, hanno visto dileguarsi il mondo dei valori sul quale aveva costruito il loro plusvalore politico, quella valorizzazione degli ideali semplici e concreti su cui avevano fondato il loro partito cha affondavano le proprie radici nella vecchia morale cattolica, propria degli strati popolari e delle classi medie, dando così vita a una modernizzazione capitalistica senza sviluppo che ha distrutto quegli stessi valori.
Con questa modernizzazione di cui la DC è stata promotrice, ha distrutto se stessa, diventando un partito consumistico-capitalistico.
Quando diventa un partito di organizzazione del potere smette di essere un partito cristiano.


Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una "normale" evoluzione, ma sta cambiando radicalmente natura.
Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera.
Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche.

E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante).

Gli uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo e soprattutto di manipolarselo. Non si sono accorti che esso era "altro": incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà.
Come sempre (cfr. Gramsci) solo nella lingua si sono avuti dei sintomi.
Nella fase di transizione - ossia "durante" la scomparsa delle lucciole - gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state, organizzate dal '69 ad oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere.


Dico formalmente perché, ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto.
Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso doppiopetto.


Analisi spietata di grande preveggenza: la DC, oggi non esiste più, si è dissolta come neve al sole 15 anni dopo questi scritti.
E si è sciolta non a causa dell’offensiva dei giudici di Mani Pulite, ma perché quegli atti giudiziari hanno colpito un partito corrotto fino al midollo dalla modernizzazione.
Nel rapporto tra sviluppo economico e partiti politici, resistono quei partiti che, non si adeguano piattamente ai valori dello sviluppo, ma che invece cercano di interpretarne i valori, di guidarli, generando valori specifici, e in un certo senso nuovi
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Tuttavia nella storia il "vuoto" non può sussistere: esso può essere predicato solo in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il "vuoto" di cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa" del colpo di Stato.
Quasi che si trattasse soltanto di "sostituire" il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni, portando l'Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico.

In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione, nazista).
Il potere reale che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perché non si tratta di "governare").
Di tale "potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice "modernizzazione" di tecniche.

Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola.


Pasolini darebbe qualunque cosa pur di tornare al vecchio mondo di valori distrutto da questa modernizzazione.

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