venerdì 26 marzo 2010

I partiti si cambiano con il dovere della astensione, poi spazzando la nomenklatura (di MASSIMO FINI)


Lasciamo perdere, per un momento, la questione Berlusconi e le inaudite pressioni, intimidazioni, minacce che il presidente del Consiglio ha esercitato su un commissario dell'Authority per le Comunicazioni, Giancarlo Innocenzi, perché si desse da fare per chiudere Annozero, zittire Floris e la Dandini, impedire che vengano ospitati personaggi sgraditi al Cavaliere, come Ezio Mauro, Eugenio Scalfari, o, dio guardi, Antonio Di Pietro. «Se lei avesse un minimo di dignità dovrebbe dimettersi» ha sibilato Berlusconi a Innocenzi.
Mentre è vero esattamente il contrario: se costui avesse avuto «un minimo di dignità» avrebbe dovuto mandare all'inferno l'energumeno ed eventualmente denunciarlo alla magistratura.
Ma come avrebbe potuto il poveraccio? È un uomo di Berlusconi, è stato sottosegretario alle Comunicazioni in un suo governo e un suo dipendente quale Direttore dei servizi giornalistici Fininvest-Mediaset.
Ci sarebbe voluto non un coniglio, ma un samurai disposto al kharakiri per contrastare la violenza dell'energumeno e reggere una situazione talmente anomala, grottesca e pazzesca che non ha paragoni in alcun altro Stato al mondo, democratico o non democratico, tanto da far dire persino al Direttore generale della Rai, Masi, che «cose simili non si vedono nemmeno nello Zimbawe».

Ma lasciamo perdere la questione Berlusconi-Innocenzi-Minzolini non solo perché Il Fatto Quotidiano, oltre ad essere stato il primo a darne notizia la sta trattando con l'ampiezza che merita, ma perché ne presuppone un'altra.

Al di là dell'atteggiamento particolarmente spudorato e violento dell'energumeno, la domanda è: quale indipendenza può mai avere la Rai-Tv, Ente di Stato, e quindi di tutti i cittadini, quando il Consiglio di amministrazione è nominato dai partiti, il presidente pure, la Commissione di Vigilanza anche, l'Autority per le Comunicazioni e ogni altra Autority idem, quando non c'è dirigente, funzionario, conduttore di programmi, giornalista, usciere il cui posto di lavoro non dipenda dall'appartenenza a una qualche formazione politica, da un rapporto di fedeltà e sudditanza, più o meno mascherato, diretto o indiretto, a qualche partito o fazione di partito?

E la questione della Rai-Tv è solo la più emblematica e evidente dell'occupazione sistematica, arbitraria, illegittima che i partiti, queste associazioni private, hanno fatto di tutti gli apparati dello Stato, del parastato, dell'amministrazione pubblica, che poi ricade a pioggia anche sull'intera società (facciamo un esempio semplice semplice, tanto per capirci: a Firenze se sei architetto e non sei infeudato a sinistra non lavori).

Si parla tanto, di questi tempi, di riforme: istituzionali, costituzionali, della giustizia, eccetera. Ma la riforma più urgente, e principale, è quella dei partiti, nel senso di un loro drastico ridimensionamento, della loro cacciata da posizioni che occupano abusivamente, arbitrariamente, illegittimamente.
Ma in democrazia solo i partiti possono riformare i partiti.
E non lo faranno mai perché questo vorrebbe dire perdere il potere con cui condizionano l'intera società italiana, abusandola, stuprandola, ricattandola, richiedendo ai cittadini i più umilianti infeudamenti per ottenere, come favore, ciò che spetta loro di diritto.

Come se ne esce? Agli inizi degli anni Ottanta, quando l'abuso e il sopruso partitocratico era ancora, nonostante tutto,ben lontano da quello di oggi, Guglielmo Zucconi, direttore del Giorno, quotidiano appaltato alla Dc e al Psi, mi permise di scrivere nella mia rubrica, Calcio di Rigore, un articolo in cui invocavo provocatoriamente, per l'Italia, la soluzione che il generale Evren aveva adottato per la Turchia dove l'occupazione, la corruzione, il clientelismo dei partiti aveva raggiunto vertici intollerabili, ma comunque ancora lontani da quelli dell'Italia di oggi.
Il generale Evren prese il potere, spazzò via tutta la nomenklatura partitocratica, e promise che, fatta una pulizia che in altro modo era impossibile, avrebbe restituito, entro cinque anni, il potere alle legittime istituzioni democratiche. Promessa che puntualmente mantenne.
E oggi la Turchia, pur in mezzo alle mille contraddizioni di un Paese la cui realtà è resa difficile dalla presenza di una fortissima minoranza curda, è un Paese "normale" con una maggioranza, un'opposizione, un premier che rispetta le leggi e la magistratura, e partiti che stanno al loro posto e nel loro ruolo, che è quello di coagulare il consenso, e non esondano in tutta la società civile.
Non è la Turchia che non ha i requisiti democratici per entrare in Europa.
È l'Italia che non li ha più per restarci.
Chissà che intanto la vicenda tragicomica, ma anche trucida, delle liste elettorali truccate, con la ulteriore aggravante dell'inchiesta di Trani non disgusti il cittadino al punto da fargli finalmente capire che la democrazia rappresentativa non ha niente a che fare con la democrazia, ma è un sistema (meglio congegnato in altri Paesi ma che da noi sta perdendo la maschera) di oligarchie, di lobbies, di camarille, di associazioni paramafiose, che il cittadino è chiamato ogni tot anni a legittimare col voto perché possano continuare, sotto la forma di un'apparente legittimità, i loro abusi, i loro soprusi, le loro illegalità.


E' evidente che dopo le elezioni i partiti, raccolto o piuttosto estorto in qualche modo il consenso, continueranno con le loro manfrine, le loro lotte intestine, i loro mascheroni che ogni giorno ci arringano dagli schermi televisivi senza che il giornalista, col microfono sotto il loro naso come una sputacchiera, abbia il coraggio, o la possibilità, di fare un'obiezione.

Io che assisto a questi spettacolini da una quarantina d'anni non posso avere lo stesso sgomento. Però la dose della mia nausea è, credo, di gran lunga superiore. Chi sono questi uomini che, al governo, nelle regioni, nelle province, nei grandi comuni, ci comandano e che noi, con un masochismo abbastanza impressionante che «dovrebbe lasciar stupiti gli uomini capaci di riflessione» come notava Jacques Necker già nel 1792, paghiamo perché ci comandino?

Sono uomini senza qualità la cui legittimazione è tutta interna al meccanismo "democratico" che li ha messi in orbita.
La loro sola qualità è di non averne alcuna. In queste congreghe di ominucoli, baciati in fronte dal truffaldino meccanismo elettorale, gli unici ad avere una qualche personalità sono quasi sempre degli approfittatori o lobbisti.
E non si sa davvero che preferire perché, come diceva Talleirand, «preferisco i delinquenti ai cretini, perché i primi, perlomeno, ogni tanto si riposano».

Torna in auge anche il "qualunquismo", altra parola tabù per le oligarchie.
Il Qualunquismo fu il movimento creato dal commediografo Guglielmo Giannini nel primo dopoguerra. Proponeva, in sostanza, l'abolizione dei partiti mentre il governo sarebbe stato affidato a un "Ragioniere dello Stato" che lo avrebbe tenuto per cinque anni, senza possibilità di rinnovo del mandato.
Il Qualunquismo era troppo in anticipo sui tempi.
Benché la partitocrazia fosse già ben presente nel Paese (nasce col Cln) le ideologie, liberalismo o marxismo, erano ancora forti e una scelta "o di qua o di là" poteva avere ancora un senso.

Ma oggi che i sedicenti liberali sono diventati illiberali (non solo in politica interna ma anche estera) e la sinistra, o presunta tale, ha abbracciato i gaudiosi meccanismi del libero mercato, la nostra unica alternativa è di scegliere da quale oligarchia preferiamo essere comandati, schiacciati, umiliati, pagando il tutto a prezzi, umani ed economici, altissimi.
Ben venga quindi un "Ragioniere dello Stato". E poiché in Italia ormai il più pulito c'ha la rogna io farei, come nel calcio, una campagna acquisti all'estero.
Un Gaulaiter tedesco andrebbe benissimo.

Fonte: http://www.massimofini.com

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